Brunetta: lo smart working non è solo "lavoro a domicilio"

Renato Brunetta, Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione, sembrerebbe convinto che la PA italiana non sia in grado di funzionare in modo efficiente tramite lo smart working. Le ragioni di questo convincimento sono state spiegate nelle scorse ore dallo stesso esponente di Forza Italia nel corso di un Question Time alla Camera dei Deputati.

Per Brunetta lo smart working anche per i lavoratori della PA avrebbe rappresentato una scelta obbligata per contrastare l'emergenza pandemica e gestire le limitazioni introdotte tramite i lockdown, nel contempo però la stessa PA non sarebbe stata in grado di garantire servizi pubblici essenziali come l'istruzione, la sanità e la sicurezza.

Lo smart working, per essere considerato tale, richiede investimenti in tecnologia ed infrastrutture

Sempre a parere del Ministro vi sarebbe una grande differenza tra lo smart working e il semplice "lavoro a domicilio", perchè il primo funzioni in modo corretto non bastano dei dipendenti volenterosi, servono anche infrastrutture tecniche e di rete sufficientemente mature, tecnologie avanzate e collaudate nonchè un livello accettabile di (Cyber)sicurezza.

In sostanza un modello come quello adottato tra il 2020 e il 2021 non potrà e non dovrà essere riproposto, sarà invece necessario mettere in campo le risorse messe a disposizione dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per digitalizzare la PA, rendere interoperabile le banche dati oggi disponibili e facilitare la transizione verso il Cloud.

In ogni caso lo smart working non verrà completamente abbandonato dalla PA italiana, l'intenzione di Brunetta dovrebbe essere infatti quella di mantenere una quota di almeno il 15% ma sulla base di regole contrattuali più chiare e precise. A tal proposito l'ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) sarebbe stata già chiamata in causa per definirle.